2. L'incontro

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    Ella



    Il mio passatempo preferito? Era guardare quei documentari in cui gli animali sbranavano altri animali, con presentatori un po’ attempati che giustificavano quegli atti usando la teoria dell’evoluzione. Nessuno avrebbe bisogno di essere forte, se alla base non ci fosse un motivo per diventarlo. Ma il più debole poteva anche fuggire e sottrarsi alle fauci del più forte. E le scene che preferivo erano proprio quelle in cui si dava per spacciata la vittima, e invece poi riusciva a dileguarsi stupendo tutti gli spettatori.

    Se era vero che in natura ci fosse quella rara possibilità di sovvertire un destino già segnato, era anche vero che nella razza umana non si poteva evadere dal proprio, se quello dipendeva dalla famiglia di appartenenza. Dove scappavi se il nemico ce l'avevi dentro casa?

    Era come dare un topo vivo in pasto ad un serpente rinchiuso in una teca e giustificarsi per quella crudeltà sostenendo che la natura doveva fare il suo corso, una scusa da infami.

    Il topo non sarebbe mai potuto uscire dalla teca e avrebbe finito per soccombere al proprio destino senza avere alcuna possibilità di scelta.

    Anche se alla fine facevo sempre ritorno al nido, dovevo ammettere che ero diventata piuttosto brava a scappare. Potevo essere paragonata ad un topo, mentre Walt era il mio serpente.

    Facevamo quel gioco del topo e del serpente da qualche anno, e avevo dimenticato la data d'inizio da quando avevo smesso di contare i giorni. Giorni che per me si susseguivano tutti uguali, statici e silenziosi come le lancette di un orologio rotto.

    La cosa peggiore in quella situazione di merda era aver perso la rabbia, sostituita inesorabilmente dall'apatia della rassegnazione.

    C'era stato un tempo in cui io e Walt eravamo inseparabili: lui faceva il serpente con quelli che cercavano di schiacciarmi e a me piaceva comportarmi da topo perché mi faceva sentire amata e protetta.

    La mia campana di vetro era andata in frantumi dopo la morte della mamma, quando mio fratello aveva smesso di amarmi e proteggermi, ed era diventato un nemico da cui scappare.

    Non avevo accettato da subito quell’evoluzione del nostro rapporto, un po' perché rifiutavo di pensare che potesse accadere proprio a me, un po' perché avevo ereditato dalla mamma la riluttanza a lasciarsi sottomettere.

    Il passaggio da topo a farfalla l'avevo agognato notte dopo notte, qualche volta avevo addirittura sognato di avere le ali. Poi mi aveva svegliata la mano di Walt che si infilava sotto le lenzuola e le ali erano diventate catene da cui era stato impossibile sottrarsi.

    "Perché hai sempre quell'espressione da rincoglionita?" Nick mi si parò davanti per mollarmi uno schiaffo sulla fronte.

    Walt comparve sulla porta, perché avere una sola disgrazia in casa non bastava, dovevano viaggiare in coppia come gli sbirri.

    "Ella, ti ho detto di andare sopra, cazzo!" Guardai storto lo stronzo numero uno. "E non mi sfidare con quello sguardo."

    Era mio fratello che dettava legge in quell’inferno ed io per tutti ero soltanto Ella Miller. Non solo Ella, non solo Miller: il mio nome non veniva mai pronunciato senza essere accompagnato dal mio cognome.

    Far parte di uno dei quartieri peggiori di tutto il South Side di Chicago era uno schifo. Uno dei motivi in cima alla lista era che ogni giorno dovevo assistere al via vai di gente dal look discutibile e l’accento volgare.

    Se io ero uno stupido topo, loro si trovavano in fondo alla catena alimentare della razza umana e potevano essere classificati insieme al plancton, quei fantastici pescetti che venivano divorati dalle foche.

    Comunque il plancton aveva permesso a mio fratello di comprare un gioiellino da cinquanta pollici e, grazie a quello, potevamo assistere ogni sera agli arresti di gente come Walt. A lui divertiva moltissimo commentare il notiziario come un opinionista esperto per sentirsi più furbo degli altri.

    Io potevo andare ovunque, a patto che uno dei miei fratelli mi accompagnasse, e ultimamente avevo preso a scappare con maggior frequenza, visto che ogni volta si tiravano tutti indietro lasciandomi reclusa per secoli.

    Comunque ero riuscita almeno a mantenere una piccola ma significativa libertà: continuare gli studi. Andare a scuola non mi era mai piaciuto, soprattutto perché venivo guardata con disprezzo a causa della cattiva fama del mio cognome, però mi concedeva uno spazio solo mio a cui non avevo intenzione di rinunciare.

    "Fa' come ti ha detto, se non vuoi un'altra punizione." Era stato lo stronzo numero due a parlare.

    Nick era un po' troppo stupido per continuare gli studi e abbastanza intelligente per capire come far soldi. Aveva abbandonato la scuola poco dopo il terzo superiore ed era diventato il primo discepolo di Walt. Lui parlava e l'altro eseguiva, erano inseparabili e intoccabili. Non potevi criticarne uno se davanti avevi l'altro e, ciò che ne era derivato, era stato farmi scappare da entrambi.

    La disgrazia nella disgrazia? Oltre ad essere la più piccola, ero stata l’unica femmina tra quattro figli maschi. Per la mamma era stato come ricevere una benedizione dal cielo e, mentre sfogava la frustrazione soffocandomi di trucchi e vestiti, io volevo solo essere il meno femminile possibile per non attirare certi sguardi.

    La punizione a cui si riferiva Nick, ovviamente, faceva parte di tutta una serie di abusi corporali che ricevevo sin da quando le ciglia avevano iniziato ad allungarsi sulle guance e il seno era cresciuto sotto le magliette.

    A far male più delle botte era stato il tradimento subito. Difficile riuscire ad accettarlo, quando gli affetti che cuciono diventano lame che lacerano inizi a sentirti sola e incompresa in un mondo che gira al contrario.

    Un giorno in più per me non era che l’ennesimo mattone da aggiungere al muro che mi ero costruita attorno. L'isolamento sociale era arrivato con i primi lividi, precisamente quando le persone avevano iniziato a fingere che non esistessero. Avevo le braccia viola e loro non azzardavano neanche una domanda.

    Nessuno mi chiedeva come stavo, oppure se avessi voglia di una spalla su cui piangere. Cazzate così le avevo viste accadere in sei film su dieci: la protagonista veniva picchiata e quello che poi sarebbe diventato il suo uomo correva a salvarla. Il mio film, invece, non avrebbe avuto alcun lieto fine, semplicemente perché non aveva eroi.

    Allora mi ero costruita da sola uno scudo di indifferenza e avevo iniziato a smettere di guardare quelle fiction.
    Se è migliore della tua fai finta che non esista, era diventato il mio mantra.

    "Muoviti, cazzo, sparisci!" Walt aveva parlato, e così era arrivato il momento di obbedire.

    Senza tradire alcuna emozione imboccai le scale e, ancora una volta, mi isolai nella mia stanza.

    Trascorse un’ora di cupo silenzio in cui Nick uscì e rientrò a casa, prima che iniziassi a sentire diverse grida provenire dal piano di sotto.

    Avrai dovuto farmi i fatti miei? Indubbiamente.
    L’avrei fatto? Per niente al mondo.
    Lentamente aprii la porta per imboccare il corridoio buio, poi scesi le scale e mi fermai in prossimità dell'ultimo gradino. Fu lì che mi strinsi il più possibile contro il muro, sporgendomi leggermente verso la cucina. All’interno scorsi tre figure: due familiari, una mai vista. Ancora un po’ e sarei riuscita ad ottenere una visuale migliore…

    "Ti rendi conto che devo tirarti fuori da quel carcere di merda ogni due settimane?!” Strillò Walt isterico. Nessuna risposta. “E guarda come cazzo sei messo, non ti reggi in piedi!” Lo vidi fare avanti e indietro come un animale chiuso in gabbia. Degli altri nessuno parlava, si fingevano morti?

    “Io lo ammazzo, quel figlio di puttana!"

    Perfetto, Walt stava per esplodere in uno dei soliti deliri di onnipotenza. Il mio intento era guardare il volto del malcapitato prima che venisse trasformato in un ammasso di carne senza senso.

    E poi finalmente parlò.
    “Niente da fare.” Quella voce... “Gli sbirri a questo punto l’avranno portato in chissà quale cazzo di contea.” Perfettamente calma, fredda, profonda.

    Walt prese un respiro profondo, lo immaginai stringersi la fronte come se stesse elaborando un piano troppo complicato.

    "Quanto pesavano i sacchetti?"

    "Erano pezzi da dieci, li ho pesati io." Ci fu una breve pausa. "Sai quanto sono preciso con i grammi."

    Il pugno di Walt si scagliò contro le piastrelle. Avrei riconosciuto quel rumore per tutta la vita, e se non si era rotto la mano aveva di sicuro crepato il muro.

    "E va bene, ora ti dico cosa facciamo. Tu mi hai fatto incazzare perché non sei riuscito a scappare." Ringhiò agitato. "E lui è un uomo morto perché ha provato a fottermi."

    "Che vuoi fare?" Chiese Nick. Walt scattò in piedi come una molla e fece leva sulle mani per scrocchiarsi le nocche.

    "Prima vado a spaccare la faccia al Falco." Il suono delle dita che battevano nervosamente sullo schermo del cellulare mi fece capire che per lui la discussione fosse chiusa.

    Però a me era rimasta la curiosità di dare un volto al tipo che non si era lasciato spaventare da mio fratello. L’aveva pure lasciato entrare in casa, quindi era uno di quelli importanti.

    Mi sporsi ancora un po'.
    Se solo riuscissi a...

    Il mio piede mancò un gradino e scivolai verso il basso.

    Booom!

    L'assenza di appigli ai quali potermi sorreggere mi fece crollare a picco contro il pavimento, sotto gli occhi sconcertati dei miei due fratelli e di... Allungai lo sguardo su ciò che avevo davanti.

    Era di spalle e riuscivo a scorgere soltanto una montagna di muscoli avvolti da una t-shirt oversize macchiata di quello che sembrava essere sangue rappreso.

    Impiegai un solo istante a rendermi conto che quella situazione non avrebbe potuto portare a niente di buono, e maledissi l'istante in cui avevo deciso di rischiare la pelle per una stupida curiosità.

    I suoi capelli neri sfumavano fino a scomparire su un tatuaggio dall'aspetto cattivo. Era la coda di un serpente a sonagli quella che vedevo percorrergli la nuca, mentre la lingua biforcuta costeggiava l'arco di un orecchio piccolo e perfettamente rotondo. Doveva aver proprio fatto i conti con una brutta giornata, perché quando si voltò fu evidente sul suo viso che nessuno aveva dedicato più di cinque minuti alle medicazioni. Un brutto taglio gli copriva metà fronte, proprio sotto un livido gonfio e viola che si spandeva fino all’occhio iniettato di sangue.

    Tutto ciò che percepii nella sua figura trasudava potere, sesso e un pizzico di pericolo che, ne ero certa, chiunque sarebbe stata disposta a correre. Era indubbio che al suo cospetto avrei dovuto inorridire, e invece rimasi pietrificata sul posto a pormi un mucchio di domande sulla storia che l'aveva reso così inquietante.

    E se avevo pensato che tutti quei tatuaggi fossero esagerati non avevo ancora fatto i conti con la sua faccia. Perché lì, sugli zigomi rigati di vecchie cicatrici, si affacciavano due pozzi neri senza fondo. I suoi occhi sembravano spenti e privi di vita, incapaci di trasmettere emozioni. Talmente vuoti che potevi perderti a guardarli nel tentativo di capire cosa celassero.

    Fu ciò che accadde, perché io mi persi. E mi persi così tanto che non vidi le sue labbra schiudersi per lo stupore, quando un manrovescio mi scaraventò all'indietro facendomi crollare contro il tappeto persiano del salotto.

    Ancora senza fiato per il colpo incassato mi toccai la guancia arrossata, trovandola sporca del mio sangue. Forse nell’urto mi ero morsa la lingua, forse non avrei dovuto immischiarmi, forse più tardi ne avrei subito le conseguenze… Un mucchio di dubbi mi affollarono la mente confusa mentre in casa calava un silenzio cupo e disagiante.

    "Ti avevo detto di restare in camera tua. Non ascolti mai quello che dico, cazzo!" Sbraitò Walt.

    Intorpidita dalla botta riportai lo sguardo sullo sconosciuto. Aveva la mascella contratta, le palpebre socchiuse, forse si stava chiedendo se sarebbe uscito vivo da quella situazione.

    Con la coda dell’occhio notai che Walt stava alzando il braccio per colpirmi ancora una volta.

    "Sto parlando con t..."

    Una mano tatuata gli circondò la spalla in una stretta poco amichevole.

    Il volto di Walt si inclinò per inchiodarlo in uno sguardo truce.

    "Ma che cazzo fai..." Il suo tono di voce era sceso di qualche grado, rendendo quella domanda simile ad un flebile sussurro minaccioso.

    "Ha imparato la lezione." Sibilò l’altro.
    I due si fissarono come se fossero in procinto di staccarsi la testa a morsi e per un attimo fui terrorizzata dall'idea di scatenare una rissa in casa nostra.

    Un conto era ricevere uno schiaffo e non reagire e un conto era tirare un pugno ad un tizio che aveva tutta l'aria di sapersi difendere.

    "Hai sentito, Nick? Scar ha voglia di crepare." Scoppiò in una risata nervosa e poi tornò a guardarlo. "Pensi di saperne un cazzo di qualcosa su come si educa una mocciosa?"

    "Forse più di te." La sua risposta secca mi innescò un moto d'ansia che mi costrinse a trattenere il fiato. Forse era davvero pazzo.
    Walt lo afferrò per la maglietta e lo spinse contro il muro. Di quel passo avrebbero finito per ammazzarsi, e ne ebbi la certezza quando lo vidi tirar fuori un coltellino dalla tasca dei jeans.

    Il panico mi fece scattare in piedi e stringere il braccio a Nick. “Fermali, succederà un macello!” Ma quello scoppiò in una risata divertita.
    “E secondo te io ho voglia di mettermi in mezzo?”

    Il rumore della lama che schizzava fuori dall'impugnatura coprì il silenzio della stanza, facendo crescere la tensione tra tutti i presenti.

    Avevo le spalle talmente rigide da sembrare un tronco di legno e, quando Walt sollevò con la punta del coltello il mento spigoloso di Scar, mi accorsi che non avevo ancora ripreso a respirare.

    Fu sempre con la lama che guidò i movimenti del suo volto a destra e a sinistra, come a voler catturare con gli occhi ogni centimetro del suo viso contratto.

    "Guardati bene, ritardato. Pensi che tutto quell’inchiostro cancelli i segni che porti sulla pelle? Sembri un cazzo di tagliere.” Ringhiò furioso. “Per caso ne vuoi un'altra?"

    Azzardai un passo in avanti per trattenergli la mano armata.

    "Finiamola qui," sibilai "ero uscita per un bicchiere d'acqua e non avevo capito che fossi in compagnia."

    Scar distolse lo sguardo dal coltello per fissarmi con occhi impenetrabili.
    Cosa ci leggevo dentro? Aveva un’espressione indecifrabile, sembrava quasi seccato dal mio intervento, come se gli avessi impedito una resa dei conti.

    Il piercing che gli attraversava il sopracciglio brillò sotto la luce del lampadario, creando intensi riflessi di luce sulla brutta ferita che gli marchiava la tempia destra.

    Walt, invece, strinse i denti senza degnarmi di uno sguardo.

    "Torna di sopra. Subito." Disse secco. "Qui me la vedo io."

    Con i pugni serrati e la gola annodata, mi voltai per imboccare le scale.

    Era decisamente arrivato il momento in cui il topo mollava tutto e si dava alla fuga.
     
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